E il cuore rimane sempre insoddisfatto... (Elisabetta d'Austria - Sissi)

Un desiderio cede a un desiderio più grande
E il cuore rimane sempre insoddisfatto.
E la felicità acquisita
Cessa di essere felicità

Sono un gabbiano che non appartiene ad alcun paese... (Elisabetta d'Austria - Sissi)

Sono un gabbiano che non appartiene ad alcun paese,
Nessuna spiaggia è la mia patria,
Non mi affeziono ad alcun luogo,
Volo di onda in onda.

Voglia il cielo che sia un arrivederci... (Elisabetta d'Austria - Sissi)

Ancora un ultimo sguardo
Su di te, mare diletto,
E poi addio, per crudele che sia;
Voglia il cielo che sia un arrivederci...

Domani, quando i raggi del sole
Ti accarezzeranno sopra le dune,
Con un rapido colpo d'ali
Sarò volata via.

Un volo di bianchi gabbiani
Continuerà a planare su di te,
Se ne manca uno,
Te ne accorgerai?


Adesso che il tempo sembra tutto mio... (Patrizia Cavalli)

Adesso che il tempo sembra tutto mio
e nessuno mi chiama per il pranzo e per la cena,
adesso che posso rimanere a guardare
come si scioglie una nuvola e come si scolora,
come cammina un gatto per il tetto
nel lusso immenso di una esplorazione, adesso
che ogni giorno mi aspetta
la sconfinata lunghezza di una notte
dove non c’è richiamo e non c’è più ragione
di spogliarsi in fretta per riposare dentro
l’accecante dolcezza di un corpo che mi aspetta,
adesso che il mattino non ha mai principio
e silenzioso mi lascia ai miei progetti
a tutte le cadenze della voce, adesso
vorrei improvvisamente la prigione.

Dopo anni tormenti e pentimenti... (Patrizia Cavalli)


Dopo anni tormenti e pentimenti
quello che scopro e quello che mi resta
è una banalità fresca e indigesta.

Se ora tu bussassi alla mia porta... (Patrizia Cavalli)


Se ora tu bussassi alla mia porta
e ti togliessi gli occhiali
e io togliessi i miei che sono uguali
e poi tu entrassi dentro la mia bocca
senza temere baci diseguali
e mi dicessi "Amore mio,
ma che è successo?", sarebbe un pezzo
di teatro di successo.

Papà [Daddy] (Sylvia Plath)

Non servi, non servi più,
O nera scarpa, tu
In cui trent’anni ho vissuto
Come un piede, grama e bianca,
Trattenendo respiro e starnuto.
Papà, ammazzarti avrei dovuto.
Ma tu sei morto prima che io
Ci riuscissi, tu greve marmo, sacco pieno di Dio,
Statua orrenda dal grigio alluce
Grosso come una foca di Frisco
E un capo nell’Atlantico estroso
Al largo di Nauset laggiù
Dove da verde diventa blu.
Un tempo io pregavo per riaverti.
Ach, du.
In tedesco, in un paese
Di Polonia al suolo spianato
Da guerre, guerre, guerre.
Ma il paese ha un nome molto usato.
Un mio amico polacco
Mi dice che ce n’è un sacco.
Cosi non ho mai saputo
Dov’eri passato o cresciuto.
Mai parlarti ho potuto.
Mi si incollava la lingua al palato.
Mi s’incollava a un filo spinato.
Ich, ich, ich, ich,
Non riuscivo a dir più di così.
Per me ogni tedesco era te.
E quell’idioma osceno
Era un treno, un treno che
Ciuff-ciuff come un ebreo portava via me.
A Dachau, Auschwitz, Belsen.
Da ebreo mi mettevo a parlare.
E lo sono proprio, magari.
Le nevi del Tirolo, la birra chiara di Vienna
Non sono molto pure o sincere.
Per la mia ava zingara e fortunosi sbocchi
E il mio mazzo di tarocchi e il mio mazzo di tarocchi
Qualcosa di ebreo potrei avere.
Ho avuto sempre terrore di Te,
Con la tua Luftwaffe, il tuo gregregrè.
E il tuo baffo ben curato
E l’occhio ariano d’un bel blu
Uomo-panzer, panzer O Tu –
Non un Dio ma svastica nera
Che nessun cielo ci trapela.
Ogni donna adora un fascista,
Lo stivale in faccia e il cuore
Brutale di un bruto a te uguale.
Tu stai alla lavagna, papà,
Nella foto che ho di te,
Biforcuto nel mento anziché
Nel piede, ma diavolo sempre,
Sempre uomo nero che
Con un morso il cuore mi fende.
Avevo dieci anni che seppellirono te.
A venti cercai di morire
E tornare, tornare a te.
Anche le ossa mi potevano servire.
Ma mi tirarono via dal sacco,
Mi rincollarono i pezzetti.
E il da farsi così io seppi.
Fabbricai un modello di te,
Uomo in nero dall’aria Meinkampf,
E con il gusto di torchiare
E io che dicevo sì, sì.
Papà, eccomi al finale.
Tagliati i fili del nero telefono
Le voci più non ci possono miagolare.
Se ho ucciso un uomo, due ne ho uccisi –
Il vampiro che diceva esser te
E un anno il mio sangue bevé,
Anzi sette, se tu
Vuoi saperlo. Papà, puoi star giù.
Nel tuo cuore c’è un palo conficcato.
Mai i paesani ti hanno amato.
Ballano e pestano su di te.
Che eri Tu l’hanno sempre saputo.
Papà, papà, bastardo, ho finito

Cento Quartine (Patrizia Valduga)

Ho paura di te: sei così bello!
Non affogarmi in notti tanto nere
se prima non mi apri nel cervello
la porta che resiste del piacere.
Ora lo sai: ho bisogno di parole.
Devi imparare a amarmi a modo mio.
E’ la mente malata che lo vuole:
parla, ti prego! parla, Cristoddio!
Terra alla terra, vieni su di me:
voglio il tuo vomere nella mia terra,
fiorire ancora traboccando e
offrire il fiore a te, mio cielo in terra.
Càlati giù, o notte dell’amore,
fammi dimenticare la mia vita,
accoglimi nel seno del tuo cuore,
liberami dal mondo e dalla vita!
«Tu mandali a dormire i tuoi pensieri,
devi ascoltare i sensi solamente;
sarà un combattimento di guerrieri:
combatterà il tuo corpo e non la mente.»
«Non muoverti. Sta’ ferma. Ho detto; ferma!
Che senta la tua fica fino in fondo
Bocciolo mio, ti innaffierò di sperma
Finché avrà fine il tempo e fine il mondo.»
«Allora ce l’hai fatta? sei venuta?
e come sei venuta? Dimmi». Prego?
«Se ti è piaciuto molto sei perduta.»
Non lo posso negare e non lo nego.
Perché anche il piacere è come un peso
e la mente che è qui mi va anche via?
Su, spiegamelo tu. «Per chi mi hai preso?
Per un docente di filosofia?»
«Mucchi di mondi, grappoli di stelle…
sfoggio di universo mica per noi..
Stiamo vicini… pelle contro pelle…
e poi, mia vita, salvati se puoi!»
Da nervi vene valvole ventricoli
da tendini da nervi e cartilagini
papille nervi costole clavicole…
In spasmi da ogni poro mi esce l’anima.
Dal mio martirio viene questa pace,
questa pienezza dalla tua rapina…
A tutto ciò che non ha nome e tace
sento l’anima mia farsi vicina.
«Vuoi che tutto finisca e niente duri?
che ognuno vada a fare i fatti suoi?
stacco il telefono, chiudo gli scuri:
e che la notte ricominci! Vuoi?»
«No, niente amore qui, soltanto sesso:
non svegliamo l’invidia degli dèi».
Ora che tanto bene mi hai concesso,
dio dell’amore, miserere mei…
«La porta del piacere… eccola, è qui.»
Quella del tuo, sicuramente, sí.
«Chi ti apre il cervello ? dimmi, chi ?»
Chi lo sa aprire… Piano… sí, cosí…
Baciami; dammi cento baci, e mille: 
cento per ogni bacio che si estingue, 
e mille da succhiare le tonsille,
da avere in bocca un’anima e due lingue.
Oh sí, accarezza dolcemente, sfiora, 
ma minaccia ogni furia e ogni violenza; 
lentamente… non dentro, non ancora… 
portami a poco a poco all’incoscienza.
«Maledetta, luttuosa fantasia
che esige un cuore mite e anche feroce…»
Fingi di averlo e levamela via:
io voglio che mi avvolga la tua voce.
Tu, misterioso spirito gentile,
fammi la guardia come un carceriere: 
che non nasconda piú, vanesia e vile, 
verità vergognose e voglie vere.
C’è un solo incontro e non c’è un solo addio 
e devo sempre stare sul chi vive:
nel grande cimitero dei miei io 
vivo una vita tutta recidive.
«Guardalo questo corpo: ti appartiene.»
Non ho occhio che pesa e che misura
e per vedere veramente bene 
mi serve il buco della serratura.
In questa stanza che non ha piú uscita, 
come stormisce il sangue, e al suo stormire 
è il mio turno di vivere… di vita…
Io so che sai che cosa voglio dire.
«So solo quello che mi basta a stento
per non sprecare i battiti del cuore, 
perché sapere, sappilo, è un tormento:
è sempre chi piú sa che ha piú dolore.»
Per sogni d’ombre, per ombre di sogni
per l’avanzo d’infanzia che mi avanza
per questo niente vuoi che mi vergogni?
Per sogni d’ombre morte in lontananza?
«Non mi piace il tuo stile da mistero
e reciti te stessa molto male.»
Il sogno è l’infinita ombra del vero 
e spesso è più reale del reale.

Canzone d'amore (Anne Sexton)

Ero la ragazza della catena di S. Antonio,
la ragazza tutta discorsi di bare e serrature,
quella delle bollette del telefono,
la foto sgualcita e i contatti persi,
quella che continuava a dire
Ascoltami! Ascoltami!
Mai! Mai!
e cose del genere
Quella con il bavero
tirato su fino agli occhi,
con gli occhi blu canna di fucile,
con una venuzza sulla piega del collo
che vibrava come un diapason,
con le spalle nude come un palazzo,
con quei piedini e quei ditini,
con un vecchio gancio rosso in bocca,
una bocca il cui sangue gocciolava
nelle regioni orrende della sua anima
la ragazza che si addormentava sempre,
era vecchia come i sassi,
ogni mano un pezzo di cemento,
per ore e ore
e poi si svegliava,
dopo la breve morte,
ed era tenera come,
delicata come
tenera e delicata come
luce in eccesso,
per niente pericolosa,
come un barbone che mangia
o un topo su un tetto
senza botole,
con niente di più onesto
che la tua mano nella sua,
con nessun altro, nessun altro che te!
E cose del genere.
Nessun altro, nessun altro che te!
Oh, non si può tradurre
quell’oceano
quella musica
quel teatro
quel campo di pony.

Solo pelle e ossa... (Michele Mari)

Dice il ghiottone
giorni dieci starò senza dolciumi
e senza grassi e senza sughi e fritti
Così ogni tanto
proviamo a stare un po’ senza sentirci
folli
noi che già siamo
solo pelle e ossa